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Breve storia delle gilde e la costruzione delle
cattedrali. Abstract dal libro “La
Qualità nella Storia” – Joseph Juran Senza dubbio ancora oggi le cattedrali suscitano l’interesse e
l’ammirazione delle persone più disparate. Esse hanno la capacità di toccare
le corde più profonde dell’animo umano perché sono l’espressione più completa
di due “qualità” che muovono il mondo anche ai giorni nostri: la bellezza e
il valore. Le cattedrali possiedono l’eccellenza nella bellezza, il piacere e
l’ammirazione che questi edifici suscitano in tutti noi discende direttamente
dall’armonia delle forme, dall’equilibrio delle proporzioni e dal sapiente
gioco delle luci. Possiedono inoltre l’eccellenza nel valore, per il rigore
delle forme e l’impeccabile fattura dei marmi e delle vetrate queste
strutture hanno resistito all’usura del tempo, veri inni alla gloria di Dio
nei secoli. Innegabilmente la qualità di queste cattedrali si esprime nel
potere di elevare l’animo umano. Ma perché esistono le cattedrali? Chi è stato capace di costruirle?
Da dove provenivano le competenze necessarie per far sì che la mente potesse
dominare in modo così totalizzante la materia? Le risposte vanno ricercate in
buona parte nella storia di coloro che le hanno edificate con le proprie mani
e con il proprio talento, e nel modo singolare in cui, come gruppo, questi
artigiani esercitavano il loro mestiere. Questa è la storia delle gilde, le
corporazioni degli artigiani. È stato scritto che le origini delle gilde si perdono in quelle dell’umanità
stessa, si formarono in modo del tutto naturale come gruppi di artigiani che
praticavano lo stesso mestiere e che spontaneamente e liberamente avevano
deciso di associarsi. Si chiamavano tra di loro “compagni” (etimologia: cum
-> con; panis -> pane; persone che si spartiscono il pane). Le
corporazioni di fabbri e tintori (i primi alchimisti) fiorirono già al tempo
dei faraoni della dodicesima dinastia, erano presenti nella Roma dell’ottavo
secolo a.C. per i mestieri che richiedevano un addestramento specifico. Mille
anni dopo con la dissoluzione dell’Impero Romano si assicurarono la
sopravvivenza associandosi ai monasteri. Le gilde esistevano tra l’inizio del dodicesimo e la fine del
tredicesimo secolo quando l’arte gotica toccò il suo apogeo. Gli artigiano
gravitavano intorno alle città nelle quali si stavano edificando le
cattedrali. Era un tempo in cui, dopo seicento anni di barbarie carolinge, la
società feudale vedeva riaccendersi la speranza. Servitù, tirannide e
conflitti parevano giunti all’epilogo e il culto diventò un inno di gioia e
di ringraziamento a Dio. Quella intensa attività produsse le cattedrali
ogivali, monumenti di incomparabile eleganza e maestosità (Noyon -> 1190,
Chartres -> 1145, Notre Dame -> 1160). Le nuove chiese rappresentarono
il frutto di un’intensa collaborazione tra i maîtres ès æuvres, quasi
tutti laici. Il solo manoscritto antico che tratta il tema delle gilde è un testo
inglese del 1390, si tratta di un codice delle gilde dei costruttori. (In
Inghilterra esistono molte cattedrali gotiche: Londra, Canterbury, Salisbury,
York …). Il testo è scritto da un ecclesiastico che doveva essere stato
iniziato alle tradizioni dei maîtres d’æuvres, i brani seguenti danno
la possibilità di farsi un’opinione: ·
Articolo I Mastro muratore, ecco la regola: sii sempre onesto nella tua
attività, e rigoroso, così che nessuno possa trovare in essa ragione di
disappunto. ·
Articolo XII Non criticare il lavoro di un altro, sia o no un fratello della tua
loggia. Dà piuttosto la tua sincera e onesta approvazione, e per conservare
il tuo onore impegnati a migliorare le tue capacità. ·
Punto secondo Non risparmiare gli sforzi: il lavoro ben fatto è già di per sé una
ricompensa e rende felice il suo autore. ·
Punto undicesimo Insegnagli [all’apprendista] come procedere correttamente, sii
prodigo di consigli e, in nome di Dio, se vedi che apprende, inizialo ai
segreti della tua arte. Per l’ammissione alle gilde fu adottato un complesso sistema
rituale. Gli apprendisti appartenevano quasi tutti agli strati sociali più
poveri, e ciò spiega la natura altamente simbolica dei riti. Idee e concetti
potevano fare poca presa sui giovani poco istruiti, ma dando colore ai
concetti, trasformandoli in immagini evocative si poteva catturare
l’immaginazione dei giovani proseliti. I riti delle gilde costituivano un
elaborato linguaggio di segni nel quale i concetti fondamentali venivano
tradotti in simboli suggestivi basati su poche immagini, oggetti e termini
essenziali. Durante la cerimonia d’iniziazione l’aspirante apprendista riceveva
il blasone con i colori del suo mestiere con due figure simboliche: il
labirinto e la torre di Babele. Il labirinto, simbolo di modestia e
privazioni, rappresentava il cammino lungo, tortuoso e pieno di ostacoli che
l’apprendista doveva superare per raggiungere la maturità spirituale
richiesta; un cammino verso il sapere, la conoscenza e al servizio del bene
comune. La torre di Babele è
un’immagine di successo ma anche di vanità. Il crollo della torre è infatti
la prova che la perfezione è un obiettivo irraggiungibile, un avvertimento
perché il meglio può volgere al peggio e un amore incontrollato per il
proprio mestiere può trasformarsi in idolatria. All’iniziato venivano assegnanti nuovi simboli: la piramide, il
tempio, la tomba e la cattedrale. Interessante la piramide che, per la
purezza delle sue linee geometriche e il suo stagliarsi solitaria nel
deserto, simboleggiava il superamento delle difficoltà e la resistenza alle
devastazioni del tempo. Segno di una grande civiltà, simboleggiava anche
l’iniziazione al sapere e all’abilità manuale. Al rito di iniziazione per l’apprendista seguiva il Tour de
France che era il solo modo in cui poteva acquisire esperienza e
capacità, giacché le tecniche e le metodologie differivano considerevolmente
da regione a regione. Il tour era un sistema piuttosto elaborato che poggiava
su reti di artigiani nelle principali città e villaggi. Ad ogni apprendista
veniva fornito una specie di passaporto che garantiva agli artigiani cui egli
si sarebbe rivolto l’affidabilità, l’onestà e la capacità del soggetto. Al
suo arrivo in una città veniva affidato ad una “madre”, termine che si
riferiva alla locanda in cui avrebbe trovato vitto e alloggio e alla
locandiera stessa. Veniva poi condotto dal “primo artigiano” (premier en
ville), il decano degli artigiani locali. Il giovane veniva accettato nel
corso di una cerimonia segreta detta di “ammissione alle Camere”. Per tutto
il tempo l’apprendista rimaneva sotto la protezione di un rouleur, o
guida, che lo aiutava in vari modi: era il suo legame formale con la
popolazione della città e fungeva da arbitro tra il nuovo artigiano e il suo
datore di lavoro. Nonostante gli aspetti bizzarri di queste cerimonie il sistema delle
gilde era straordinariamente efficace e pragmatico. Assicurava all’artigiano
in viaggio sicurezza materiale, un valido addestramento e cure mediche
gratuite. “Io costruisco per gli uomini, io costruisco con gli uomini e, anche
se è meno evidente, io costruisco uomini” - Emile Le Normand, fabbro dell’Ordine
del Dovere. Il sistema delle gilde si fondava su una concezione globale della
personalità umana, secondo la quale il bene generale non poteva essere
disgiunto dalla ricerca spirituale di ogni singolo individuo, ed entrambi
erano considerati altrettanto importanti che la perizia tecnica. Ne emergeva
un codice morale imperniato sul dovere: l’apprendista doveva acquisire
perseveranza e sete di perfezione, il compagno la disciplina e la maestria,
il compagno “finito” maturità, coscienza e benevolenza verso gli inferiori. Naturalmente le gilde non avrebbero potuto esercitare un’influenza
così estesa se la loro organizzazione e il valore dei loro insegnamenti
tecnici non fossero stati all’altezza delle loro ambizioni spirituali. Il
loro insegnamento si incarnava nel concetto di “tocco dell’artista”, l’art
du trait. Esatto opposto di opera formalmente perfetta ma priva di
personalità , l’art du trait è una qualità che nasce da una
sensibilità esercitata e dall’amore per la materia a cui l’artigiano dona
forma. Il codice del dovere stabiliva: “L’impegno nell’esercizio del
proprio mestiere guida un compagno verso la coscienza della propria umanità,
e da questa verso un comportamento sociale appropriato. Lo chef d’æuvre
[il capolavoro dell’artigiano] è l’emblema della condizione elitaria
dell’artigiano, ma è anche il segno del suo impegno a sostenere l’ordine
civile.” Dovere verso il proprio mestiere significava impegno a perfezionare
non solo le proprie capacità, ma anche la propria condotta nei confronti di
un sistema più ampio. Benché le gilde si distinguessero nettamente dalle
grandi masse di lavoratori non specializzati per la loro cultura elitaria,
essa tuttavia conservavano un carattere di profonda apertura verso il mondo
esterno. Dovere voleva anche dire impegno verso l’armonia sociale, e le gilde
si prefiggevano di promuovere il bene generale nel suo significato più ampio;
esse non si facevano portatrici di una saggezza di carattere popolare, bensì
di un ideale di saggezza di qualità più universale. La componente religiosa
della tradizione delle gilde, manifesta o implicita che fosse, era efficace
nel distogliere i membri della congregazione da qualunque indebita ambizione
di guadagno o di successo politico. In breve le gilde erano orientate al
servizio, e il loro onore poggiava sulla qualità delle loro opere. Lo chef d’æuvre è un capolavoro i cui requisiti sono
“progetto ed esecuzione perfetti; bellezza, armonia della forma e dei suoi
componenti”. Ogni membro delle gilde era tenuto a realizzare due “siffatte opere
eccezionalmente perfette”, uno per essere promosso da “aspirante” a
“compagno”, l’altra per essere ammesso a “compagno finito”. Lo chef d’æuvre
offriva al candidato l’opportunità non solo di dimostrare le capacità
tecniche acquisite, ma anche di esprimere la propria personalità e maturità,
in altre parole il suo progresso sul cammino spirituale. Il
“compagno finito” è dunque colui che ha raggiunto la piena maturità non solo
nell’esercizio del suo lavoro ma anche nel comportamento sociale. |